Donna Lubarda donna Lubarda,
amami me che sono re.
Non posso amarti sacra corona,
non posso amarti che c’ho il mari’.
Se c’hai il marito fallo morire,
t’insegno io come hai de far.
Scendi nell’orto del mio giardino,
che c’è la testa di un serpentin.
Prima la tagli e poi la schiacci,
e poi la metti dentro quel vin.
Torna il marito dalla campagna,
donna Lubarda dammi da ber.
Dimmi marito di quale vuoi,
o di quel bianco o di quel ner.
Donna Lubarda, donna Lubarda,
dammelo pure come vuoi tu.
Dentro la culla c’era un bambino,
di nove mesi però parlò.
Disse: Papà non ber quel vino,
che c’è la testa di un serpentin.
Donna Lubarda, donna Lubarda
bevilo tu quel bicchier di vin.
La prima goccia cascò sul labbro
dicendo: “Addio io morirò”.
Note:
Questo canto, come alcuni altri presenti in questo sito, non è propriamente un canto popolare salentino. La sua presenza nella cultura popolare salentina testimonia in maniera inequivocabile la straordinaria capacità dei nostri cantori di eseguire canti diversi che richiedevano anche doti liriche non indifferenti.